Il 1980 meriterebbe di essere ricordato per una serie di avvenimenti importanti, accaduti proprio quaranta anni fa.
Il cruento assassinio di Piersanti Mattarella, di Vittorio Bachelet, di Guido Galli e di Walter Tobagi. La morte del maresciallo Tito, l’arresto a New York di Michele Sindona. L’abbattimento del volo Itavia nei cieli di Ustica, la strage di Bologna. Il terremoto dell’Irpinia e l’omicidio di John Lennon.
Un anno difficile, complicato e doloroso.
Chiedo quindi venia se invece in questa occasione parlerò di qualcosa di decisamente più leggero e meno impegnativo. Un evento urticante per i costumi di un’Italia non troppo avvezza ad una comunicazione alternativa e dissacrante.
Il 19 settembre 1980 esce nelle sale cinematografiche l’opera prima di Renzo Arbore, “il Pap’Occhio”.
Tre sole settimane di programmazione, incassi molto promettenti, quindi il primo stop.
Sequestro «per vilipendio alla religione cattolica e alla persona di S.S. il Papa» su ordine del procuratore dell’Aquila Donato Massimo Bartolomei.
LA RELIGIONE DI STATO.
Siamo nel 1980 e la religione cattolica è ancora “religione di Stato”.
La Costituzione repubblicana del 1948 garantisce, nell’articolo 3, l’uguaglianza degli individui a prescindere dalla religione e questo rappresenterebbe l’abolizione di fatto della religione di Stato in Italia, introdotta nel 1848 dallo Statuto Albertino e riconfermata dai Patti Lateranensi del 1929.
Ed invece per ottenerne l’abolizione effettiva dobbiamo attendere la revisione dei Patti Lateranensi del 1984 (Protocollo addizionale, punto 1) e la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale, che sancisce che la laicità è principio supremo dello Stato.
Nel 1980, anno di uscita del film di Arbore, il cattolicesimo è ancora la religione ufficiale della Repubblica.
Ma cosa diavolo avrà mai girato Renzo Arbore per meritare una censura così drastica?
Preoccupato per la crescita percentuale di buddisti ed atei in un mondo occidentale appesantito da un costante declino morale, con i giovani che disertano gli oratori, vanno in discoteca e fumano spinelli, il Papa decide di affidare ad Arbore l’oneroso compito di costruire e condurre un programma per la televisione vaticana. Un programma nuovo, fresco e spumeggiante che possa riavvicinare la gente alla Chiesa cattolica.
Ecco quindi “Gaudium Magnum”, show musicale per la TV vaticana. Il film racconta le “prove” che precedono il debutto del programma, diffuso in mondovisione.
Il titolo si presta ad una doppia interpretazione. Si può intendere come “l’occhio del Papa” (che osserva la società attraverso le telecamere della televisione) ma anche in senso più letterale Papocchio sinonimo di intrigo, imbroglio, pasticcio.
Ed effettivamente la “banda Arbore” è veramente un pasticciato gruppo di “artisti” che cercano di costruire un palinsesto credibile senza averne le reali capacità; insomma un manipolo di simpatici imbroglioni, o quantomeno di coraggiosi improvvisatori.
Il cast del film è in pratica lo stesso del fortunatissimo programma televisivo RAI “l’Altra Domenica”, un format dal taglio satirico e demenziale che venne proposto da RAI2 dal 1976 al 1979, nella medesima fascia oraria che vedeva su RAI1 andare in onda “Domenica In”, programma populista e benpensante di una Rai dal taglio molto democristiano.
Un cast che oggi potremmo definire “stellare” ma che nel 1980 era tutto sommato un insieme di artisti poco più che debuttanti.
Renzo Arbore, Diego Abatantuono, Mariangela Melato, Isabella Rossellini, Roberto Benigni, Andy Luotto, Mario Marenco, Luciano De Crescenzo, Silvia Annicchiarico, Martin Scorsese, Graziano Giusti, Manfred Freyberger, Michael Pergolani, Otto & Barnelli, Le Sorelle Bandiera, Fabrizio Zampa, Ruggero Orlando, Milly Carlucci per citare solamente i più noti.
La trama del film non si può e non si deve riassumere. Questa è una di quelle produzioni che narrate a parole dicono poco, ma viste ti strappano sorrisi a ripetizione.
Solo due parole quindi, giusto per fare capire di cosa stiamo parlando.
Arbore e la sua banda entrano in Vaticano per “fare la Televisione”, sorvegliati passo dopo passo da un alto prelato, bigotto, critico e poco in linea con le idee innovatrici di un Papa dal piglio moderno ed intraprendente.
Questo novello cardinale Richelieu trama per sabotare l’iniziativa, sprona i parroci italiani a mandare da Arbore per i provini gli artisti più scadenti del creato, corrompendo nel medesimo tempo un incompreso e riottoso Roberto Beningni, “l’ultima ruota del carro” della compagnia.
Nonostante tutto e tutti la sigla della puntata 1 di Gaudium Magnun va in onda, presenti in studio per l’occasione sia il Pontefice sia il Presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. La sigla però…
LE CITAZIONI.
Il film è pieno di citazioni e di richiami ad altre opere cinematografiche.
Alcune citazioni sono palesi, come nel caso delle sovrimpressioni che richiamano “Io ti salverò”di Alfred Hitchcock (1945) e Prova d’orchestra di Fellini (1979). Altre sono occulte, non espressamente nominate, ma nel medesimo tempo impossibili da non individuare.
Dai fratelli Marx, confusi con il barbuto Karl Marx da Beningni nel racconto del Giudizio Universale, a Gregory Peck e Charlie Chaplin impersonificati da improbabilissimi sosia provinanti.
Chaplin è richiamato in causa anche nella scena nella quale un sempre bizzarro Benigni si crede un novello Grande Dittatore nelle sale vaticane. L’ultima Cena al Ristorante è capace di riportare alla mente sia Zeffirelli sia il musical Jesus Christ Superstar.
E poi Isabella Rossellini ed il regista Martin Scorsese che, desolato e disperato, offre un cameo nel quale interpreta se stesso. Indimenticabile e bellissima Mariangela Melato, scartata dopo avere interpretato nel provino una pagina dannunziana tratta da “La figlia di Iorio”.
Arbore non accetta raccomandazioni per la televisione vaticana!! E poi chi è questo Iorio, che io non mi ricordo?? Meglio la sinuosa Loredana, poetessa eccelsa.
Un film ignorante? Ma neanche per sogno; un film capace di piazzare richiami pesanti e per nulla casuali; dalla Divina Commedia ai romanzi di Dumas, da Gabriele D’Annunzio alla struttura canonica della tragedia greca antica.
Musica; il film è di Arbore, la musica non può mancare. Nel Pap’occhio il geniale foggiano interpreta la parte del capo compagnia e del regista ma, in un dialogo con Abatantuono, sottolinea con forza il ruolo che più sente proprio: il disc-jockey.
La pellicola è colma di riferimenti e di tributi, a partire dal re del rock’n roll Elvis Presley, the Pelvis, che appare in continuazione alternandosi ai brani di Bobby Solo, Peppino Di Capri, Nicola Di Bari, Julio Iglesias (nell’imitazione di Gigi Sabani), Claudio Villa, Amanda Lear, Mina, Lucio Battisti e Caterina Caselli.
E poi ci sono gli stacchetti, o meglio le interpretazioni dei quattro afroamericani anni venti che cantano in napoletano sul tema del brano Sixteen Tons. Verso ricorrente è “nuje simme ‘o coro, ‘o coro d’o film” (“noi siamo il coro, il coro del film”). La voce guida è quella dello stesso Arbore. Swing!!!
La politica. La politica non si scorda mai quando si fa satira, la politica è un must, la politica è un cavallo di battaglia, una prova d’esame. Il Pap’occhio gioca con la politica, senza mai risultare volgare, mai grève e soprattutto mai scontato.
L’Ultima Cena della combriccola avviene al ristorante “da Bettino” sulle note dell’Internazionale. A casa Benigni troneggiano sul muro i ritratti abbinati di Gramsci e Bobby Solo, mentre una copia de il Manifesto riposa in disparte.
Giulio Andreotti, Karl Marx, Sandro Pertini, Friedrich Engels ed il Partito Comunista sono tirati in scena per i capelli con una serie di artifici. L’apoteosi è nella scena finale.
La trasmissione realizzata da Arbore comincia al suono de Il Canto dei Lavoratori in adattamento cattolico e lo stesso Arbore lancerà lo slogan “Fedeli di tutto il mondo, unitevi!” con chiaro riferimento al Manifesto del Partito Comunista.
La politica sorriderà, in alcuni casi con un sorriso un po’ forzato, ma non si sentirà vilipesa.
Pap’Occhio e Sacre Scritture.
Ambientato in Vaticano (ma girato all’interno della Reggia di Caserta) il film è un susseguirsi di situazioni comiche che sfiorano le Scritture; a volte canzonandole con affetto, a volte creando ambientazioni paradossali che potrebbero anche scandalizzare i più rigidi benpensanti, sempre che riescano prima a smettere di sorridere.
Manfred Freyberger interpreta la figura di un Papa Wojtyla sportivo ed innovatore, replicandone i tratti caratteriali con una buona disinvoltura. L’attore purtroppo morirà appena terminate le riprese, un brutto male lo rapirà a soli tre giorni dall’uscita della pellicola nelle sale.
I “quadri” che costituiscono la trama non risparmiano i più noti passi del Vangelo. L’Annunciation di padre Gabriele (alias Diego Abatantuono) e il cantante ambulante che si presenta come «Gallo» ad Arbore, che dopo averlo gentilmente allontanato, dice: «prima che questo Gallo canti tre volte, qualcuno mi tradirà».
I jazzisti dell’Orto dei Jezzemani, Benigni che tradisce per trenta gettoni telefonici, ed il celeberrimo “che il Signore sia con voi” che invoca continuamente l’onnipresenza di Mario Marenco in scena, san Simeone lo Stilita che con i colori della Sampdoria incanta Andy Luotto, per poi chiudere con l’arrivo finale del “Deus ex machina” .
BLASFEMIA O SATIRA?
Oggi è facile dire “satira”, è facile dire “nonsense”, è facile dire “opera dissacrante”.
Nel 1980 invece l’approccio fu decisamente meno delicato; l’attacco della stampa cattolica fu molto forte, tanto da far muovere come detto anche la Magistratura che sequestrò il film su tutto il territorio nazionale. Una commissione vescovile bollò la pellicola come “discutibile” e la mise de facto all’indice.
Nel 1985 venne proposta una “seconda versione” con un differente montaggio per il mercato dell’home video, ed infine nell’ottobre del 1988 un terzo debutto, restaurato ed in qualche modo ripensato (censurato?) privo di alcune scene nelle quali Benigni recitava dei monologhi aventi il Cristianesimo come tema.
Sul fronte giudiziario il sequestro venne annullato in seguito ad un’amnistia Enel 1982 la Corte di Appello di Roma archiviò definitivamente la denuncia di vilipendio.
La Chiesa cattolica modificò il proprio giudizio sull’opera di Arbore, passando dalla definizione di “film discutibile” a quella di “opera futile, improntata a toni beffardi e burleschi […] ma non raggiunge toni dissacratori, irriverenti o blasfemi»
Una postuma completa riabilitazione la possiamo intravedere nelle parole di Pippo Corigliano (per oltre quarant’anni portavoce dell’Opus Dei in Italia) che nel 2010 disse parlando di Renzo Arbore «premesso che sono un suo fan, ritengo il film non blasfemo ma apostolico. Arbore aveva capito perfettamente il Papa e ne mostrava una figura corrispondente esattamente alla realtà».
Renzo Arbore da parte sua ha sempre, sino dall’uscita della pellicola, precisato che nella sua opera non vi era alcuna traccia di blasfemia, ma semplice goliardia.
«Perché – sostiene l’inventore de L’altra domenica – la nostra era pura goliardia, scherzavamo certo con i tabù, i misteri gloriosi, ci divertivamo con i santi ma io, da cattolico, apostolico, foggiano, ho sempre avuto un profondo rispetto per il sentimento religioso. Rivedendolo m’è sembrato un omaggio affettuoso a un Papa teneramente tenero che poi avremmo amato moltissimo».
«Le accuse furono assolutamente ingiuste e io lo sapevo anche perché avevo studi freschi di giurisprudenza. L’udienza fu divertente perché io elencai tutte le cose non blasfeme del film mentre Benigni diceva all’orecchio del giudice che secondo lui Il Pap’occhio era così filocattolico che forse il Vaticano mi aveva pagato. Alla fine il film fu amnistiato».
Il Giornale – Pedro Armocida – 20 aprile 2010.
https://www.ilgiornale.it/news/e-arbore-si-gode-beatificazione-pap-occhio.html
La frase cult
– E che il Signore…sia con voi!
– Non si preoccupi: Marenco, fammi la cortesia, statti vicino a me perché lui si secca se ti allontani…